RESPONSABILITA’ DEI COMMERCIALISTI: DILIGENZA ELEVATA

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RESPONSABILITA’ DEI COMMERCIALISTI: DILIGENZA ELEVATA

Cassazione civile, sentenza depositata il 22 novembre 2018

Il commercialista deve risarcire la Società committente se, dopo l’errore nella predisposizione della dichiarazione fiscale, non si rende parte diligente nel contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, facendo così prescrivere il credito IVA.

È quanto emerge dalla Sentenza n. 30168/18 della Corte di Cassazione (Sez. 3 civ.), pubblicata il 22 novembre, che affronta la questione del livello di diligenza richiesto ai commercialisti nell’esercizio della professione, onde evitare di incappare in richieste di risarcimento danni, ad opera dei clienti.

Il caso deciso dalla Suprema Corte riguarda una Società immobiliare che ha chiesto e ottenuto una somma a titolo di risarcimento, nei confronti del commercialista incaricato di gestire la contabilità aziendale e gli adempimenti fiscali.

Con la sentenza impugnata per cassazione, la Corte d’Appello di Bologna ha ritenuto la perdita del diritto al rimborso del credito IVA – alla base della richiesta di risarcimento in questione -, per decorso del termine di decadenza per farlo valere, imputabile alla negligenza del professionista, non soltanto per l’errore di compilazione della dichiarazione di redditi, ma anche per la successiva inerzia del consulente fiscale.

Infatti, secondo la Corte di merito, a fronte della richiesta di chiarimenti trasmessa dall’Agenzia delle Entrate, e pervenuta a conoscenza del professionista, questi avrebbe dovuto dialogare con l’amministrazione e farsi parte diligente presso la Società cliente, nel senso di mettere a disposizione la necessaria documentazione, non essendo rilevante che egli non fosse stato indicato quale depositario della documentazione fiscale (cd. “cassetto fiscale”).

Ebbene, la Suprema Corte ha condiviso il ragionamento decisionale seguito nella sentenza impugnata perché il ricorrente avrebbe dovuto «attivarsi per far valere le ragioni del cliente nel biennio».

Bene ha fatto, quindi, la Corte bolognese a valorizzare, ai fini della colpa professionale, l’inerzia dopo l’errore commesso nella dichiarazione, che, di fatto, è costata alla Società la prescrizione del proprio diritto.

In sentenza gli Ermellini osservano che, quanto alla responsabilità del commercialista per la specifica attività professionale che gli compete, vale il principio secondo cui:
ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità di svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’articolo 1176, secondo comma, cod. civ. che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione in relazione alla prestazione resa, così da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente (Cass. civ. Sez. 3, n. 18612/2013; Cass. civ. Sez. 6-3, n. 4790/2014; Cass. civ. Sez. 3, n. 11213/2017. Quest’ultima sentenza ha affermato la responsabilità di un commercialista, sulla base della prova, fornita dal cliente, della trasmissione della documentazione necessaria a partecipare a un incontro presso l’Ufficio tributario, invece mai avvenuto per negligenza del professionista. Nel caso di specie, il commercialista aveva pure suggerito al cliente di proporre domanda di condono fiscale, soluzione rivelatasi non percorribile giuridicamente).

Pertanto, i Massimi giudici hanno ritenuto di non potere fare altro che confermare la sentenza impugnata perché:
«Lo standard di diligenza richiesto al commercialista comprende il compimento di ogni attività, anche successiva, funzionalmente necessaria a rendere utile la prestazione resa nell’interesse del cliente».

In applicazione del superiore principio, il ricorso è stato rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore alla Società cliente.

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