INDAGINI SUL C/C DEL CONIUGE: LA PROVA CONTRARIA BLOCCA IL FISCO

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INDAGINI SUL C/C DEL CONIUGE: LA PROVA CONTRARIA BLOCCA IL FISCO

Indagini sul c/c del coniuge. La prova contraria blocca il fisco

Cassazione Tributaria, ordinanza depositata il 9 ottobre 2018

La presunzione di compensi non dichiarati non può estendersi alle movimentazioni sul conto corrente bancario del coniuge del soggetto accertato, se in giudizio è fornita la prova che i flussi finanziari si riferiscono ad affari di stretta pertinenza del coniuge stesso.
Tale principio si ricava dalla lettura dell’Ordinanza n. 24903/2018 della Corte di Cassazione (Sez. 6-T), in tema di ripartizione dell’onere probatorio tra Fisco e contribuente nel caso di rettifica della dichiarazione a seguito dell’attivazione d’indagini bancarie.

Nel caso di specie la Commissione Tributaria Provinciale di Parma, decidendo sul ricorso proposto dal contribuente, ha annullato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate in relazione a II.DD. e IVA per l’anno 2005.

Avverso tale sentenza l’Agenzia fiscale ha presentato appello, ma senza successo.
La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna ha confermato la decisione del Primo Giudice ritenendo che il contribuente avesse fornito adeguata contro prova alla presunzione legale relativa derivante dagli accertamenti bancari espletati dall’ente impositore, anche con riguardo alla ripresa a tassazione di un accredito imputato a reddito per la vendita di un dipinto d’autore ad acquirente britannico.

Ebbene, con la breve ordinanza in esame, la Suprema Corte ha reso definitivo il verdetto pro-contribuente pronunciato dai giudici di appello.

Nel disattendere l’unico motivo del ricorso erariale – con cui è stata denunciata la violazione/falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, D.P.R. n. 600/73, 51, comma 2, e 54 del D.P.R. n. 633/1972, oltre che degli artt. 2727,2728 e 2697 c.c. – gli Ermellini affermano, innanzitutto, che l’Agenzia ricorrente «maschera» come violazione delle disposizioni legislative indicate poc’anzi una inammissibile richiesta di «revisione» del giudizio effettuato dal giudice di appello, «peraltro con piena consapevolezza e puntuale applicazione della disposizioni medesime, sia con riguardo alla presunzione legale relativa in questione sia con riguardo al conseguente riparto dell’onere probatorio».

Ciò detto, i Massimi giudici evidenziano che «specificamente in relazione alla parte principale delle riprese fiscali, la CTR emiliana ha argomentato puntualmente sull’inconsistenza della pretesa estensione di tale presunzione legale alle movimentazioni sui conti del coniuge del contribuente, avendo il medesimo efficacemente documentato trattarsi di un flusso finanziario riferibile ad un affare di stretta pertinenza del coniuge stesso (vendita di un dipinto appartenente alla di lei madre, che in tal modo la beneficiava di una donazione indiretta); e ha comunque negato in diritto la fondatezza della “doppia presunzione” che l’Ente impositore ne vuol fare derivare ossia non solo quella della riferibilità dell’operazione all’attività professionale del contribuente, ma anche quella della lucratività per lo stesso dell’operazione medesima».

Alla luce di questi rilievi gli Ermellini hanno assunto la decisione di respingere l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate, senza tuttavia condannarla al pagamento delle spese di lite giacché il contribuente nel giudizio di legittimità non si è difeso.

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